edevils
2012-03-23 08:52:17 UTC
Premetto che in realtà, da utente, non ho preferenze di "source": mi
interessano i risultati concreti più che la classificazione, e trovo che ci
sono ottime cose "open source" (non solo nel software, vedi Android o gli
utilizzi server di Linux, ma anche più in generale, pensiamo per esempio a
Wikipedia, l'"open source" della conoscenza, per così dire!) e ottime altre
cose "non open". Ad ogni modo, visto che si sente ripetere in continuazione
quant'è bello e quant'è bravo l'open source, sia riferito a programmi che a
sistemi operativi, mi pare anche il caso di sottolineare alcuni pregi del
software "non open", che spesso (anche se non necessariamente) coincide con
quello commerciale.
1. Anzitutto, come detto, ci sono ottimi software e sistemi operativi in
entrambi i campi. Se qualcosa funziona bene e non dà problemi, non c'è molto
da aggiungere. Quindi, ribadisco, credo sia più importante la validità del
singolo prodotto che la classificazione teorica tra diverse categorie. Un
buon software è un buon software, punto.
2. Volendo proprio discutere delle categorie, osservo che ci sono sì alcuni
punti teoricamente a favore dell'open source, per esempio la possibilità
teorica di controllare il codice riga per riga, la collaborazione, la
possibilità di fare modifiche, ecc. ecc., ma ci sono altri punti che possono
pesare viceversa a favore del software non open. I meriti del "non open"
sono magari ignorati nei dibattiti dove i sostenitori dell'open source si
fanno sentire di più, ma non sono ignorati dagli utenti che scelgono un
software per computer, una app per smartphone, o un sistema operativo... a
pagamento anche in presenza di alternative gratuite.
3. Un punto fondamentale credo sia quello legato al denaro. Piaccia o non
piaccia, il denaro è uno strumento che permette a uno sviluppatore di
campare, di pagare le spese, e persino di quantificare in termini concreti
la gratitudine e la soddisfazione degli utenti. Chi scrive software a
pagamento instaura un rapporto con i propri utenti su basi ben definite. Un
do ut des che potrà non piacere ai puristi ma può motivare e vincolare il
programmatore, spingerlo per esempio a tener conto delle esigenze degli
utenti anche a prescindere dalle proprie ubbie personali. Quindi, ad
esempio, cercherà di rendere il programma attraente e facile da usare anche
per gli altri, aggiungerà funzioni se richieste da un certo numero di
persone, risolverà i bug in tempi rapidi e non "quando c'è tempo", eccetera
eccetera. Questo non vuol dire che tutte le software house siano sempre
attente alle richieste degli utilizzatori, eh eh, ma vuol dire che una
software house che se ne frega degli utenti rischia di non avere successo o
prima o poi di perderlo, e quindi deve tenerne conto. Nel caso dell'open
source, invece, resta del tutto a piacimento del programmatore se
accontentare gli utenti oppure no, e talvolta mi pare che prevale la
tendenza a considerare solo le proprie personali esigenze o magari quelle
dei "propri pari", cioè degli altri sviluppatori, quindi un punto di vista
solo tecnico. Questo, come detto, può anche portare a ottimi risultati in
certi casi, specie sotto il profilo tecnico, ma più difficilmente a prodotti
facili da utilizzare, piacevoli nell'utilizzo, e quindi utilizzabili e
utilizzati in pratica da molte persone.
4. Un altro punto importante collegato al precedente è la costanza del
rapporto. Chi scrive software solo per passione lo fa finché il tempo libero
lo permette, e finché ne ha voglia. Poi magari arriva un figlio, arriva un
lavoro a tempo pieno, arrivano altre cose della vita, e il progetto del
software finisce in naftalina o sospeso a tempo inderminato, senza
aggiornamenti, senza sviluppo ulteriore, a meno che non ci sia un altro
volontario pronto a subentrare (il che spesso succede, ma altre volte no, o
non sempre con la stessa abilità).
Vuol dire che chi inizia a usare un software open source non ha molte
certezze sul futuro, perché quel progetto potrebbe essere abbandonato o
sospeso in ogni momento, anche senza preavviso, oppure essere adottato da
altre persone con abilità e idee molto diverse...
Questo può essere seccante per chi inizia a usare quel software
organizzandoci sopra alcune attività, perdendoci tempo per le impostazioni e
per imparare a usarlo, insomma facendoci affidamento, e poi si trova "per
terra" perché l'autore un bel giorno si è stufato e si è dato a
qualcos'altro. Questo magari è più raro per grandi progetti che vedono molti
autori (un sistema operativo, un grosso programma) ma succede per molti
programmi "minori".
Anche nel software "chiuso" e a pagamento, ci sono casi di "abandonware",
con il rischio peraltro che nessuno possa subentrare se il codice resta
proprietario, ma sinceramente mi paiono più rari, probabilmente perché un
programmatore non molla facilmente quello che è fonte di reddito, anzi le
nuove versioni sono l'occasione di nuovi introiti, quindi si darà da fare
(talvolta sin troppo!) per aggiornare con rapidità e costanza.
In questo panorama, tra parentesi, credo sia una piacevola "novità" quella
di Ubuntu che dato certezza sulle cadenze dei nuovi rilasci, rispetto
all'inderminatezza di altre distribuzioni Linux. Il caso di
Ubuntu-Canonical, e anche il caso di Android, però mi paiono particolari
perché si tratta di prodotti portati avanti o sponsorizzati da aziende che
hanno saputo costruirci sopra un modello di business, anche se il software è
open. Queste però sono mosche bianche, sia pur importanti. Tanto è vero che
trovano severi critici proprio nel mondo open source!
5. Assistenza. Nel caso dei programmi a pagamento, spesso il supporto è un
"diritto" dell'utente, compreso nel prezzo pagato. Se il supporto fa schifo,
l'utente ha tutto il diritto di lagnarsi. Nel caso di un programma gratuito,
tutto è affidato alla buona volontà, che a volte c'è, a volte meno, ma in
ogni caso l'utente non può pretendere un bel nulla.
6. Sicurezza. Un punto spesso sottolineato dai sostenitori dell'open source
è quello della maggiore sicurezza, data dalla possibilità teorica di
controllare cosa c'è effettivamente dentro il codice. Certo, questa è una
buona cosa. Anche se personalmente non andrò mai a controllare del codice
complesso riga per riga, sapere che qualcun altro potrebbe farlo è
confortante. D'altra parte, anche quando si utilizza del sofware a
pagamento, ci si può sentire generalmente garantiti. Anzitutto chi fa
software pagato dagli utenti non ha reali spinte a inserire codice che possa
"fregare" o fare brutti scherzi, visto che metterebbe a rischio la fonte del
proprio reddito oltre che la propria reputazione. Semmai, ci possono essere
talvolta preoccupazioni per la privacy, raccolte di informazioni poco
trasparenti, buchi inconsapevoli della sicurezza (possibili del resto anche
nell'open source), e via dicendo, ma su questo c'è il "controllo" del
mercato che premia il software che non invade la privacy e tappa velocemente
i buchi della sicurezza rispetto al software meno attento e meno rispettoso.
Non dico che il controllo del mercato sia sempre efficiente, ma è una spinta
reale che ha spinto le software house commerciali a migliorarsi.
7. Un'ultima considerazione "filosofica". Se lo sviluppatore lavora gratis,
c'è da chiedersi perché lo fa. A volte scrive il programma per sé stesso e
poi lo "regala". Altre volte è la soddisfazione morale del lavoro ben fatto.
Ma credo che una componente importante sia anche quella di fare esperienza e
farsi conoscere, dico bene? In ultima analisi, il suo obiettivo sarà quello
di essere assunto da una software house e pagato, o per continuare lo
progetti "open" ma con uno sponsor, o per intraprendere altri progetti
indicati dal datore di lavoro. A quel punto, ci si potrebbe chiedere: ma i
soldi con cui verrà (prima o poi) stipendiato quello sviluppatore, da dove
vengono, se non dal "vile" mercato, cioè o da software commerciale o
comunque da iniziative commerciali collegate anche a progetti open? In
alternativa, c'è chi è retribuito da enti e università al cui interno porta
avanti progetti open source. In quel caso il software sarà pure "gratuito"
per l'utilizzatore, ma a pagare è qualcun altro (in genere il taxpayer, o
gli studenti di quell'università)
Just my 2 cents :)
interessano i risultati concreti più che la classificazione, e trovo che ci
sono ottime cose "open source" (non solo nel software, vedi Android o gli
utilizzi server di Linux, ma anche più in generale, pensiamo per esempio a
Wikipedia, l'"open source" della conoscenza, per così dire!) e ottime altre
cose "non open". Ad ogni modo, visto che si sente ripetere in continuazione
quant'è bello e quant'è bravo l'open source, sia riferito a programmi che a
sistemi operativi, mi pare anche il caso di sottolineare alcuni pregi del
software "non open", che spesso (anche se non necessariamente) coincide con
quello commerciale.
1. Anzitutto, come detto, ci sono ottimi software e sistemi operativi in
entrambi i campi. Se qualcosa funziona bene e non dà problemi, non c'è molto
da aggiungere. Quindi, ribadisco, credo sia più importante la validità del
singolo prodotto che la classificazione teorica tra diverse categorie. Un
buon software è un buon software, punto.
2. Volendo proprio discutere delle categorie, osservo che ci sono sì alcuni
punti teoricamente a favore dell'open source, per esempio la possibilità
teorica di controllare il codice riga per riga, la collaborazione, la
possibilità di fare modifiche, ecc. ecc., ma ci sono altri punti che possono
pesare viceversa a favore del software non open. I meriti del "non open"
sono magari ignorati nei dibattiti dove i sostenitori dell'open source si
fanno sentire di più, ma non sono ignorati dagli utenti che scelgono un
software per computer, una app per smartphone, o un sistema operativo... a
pagamento anche in presenza di alternative gratuite.
3. Un punto fondamentale credo sia quello legato al denaro. Piaccia o non
piaccia, il denaro è uno strumento che permette a uno sviluppatore di
campare, di pagare le spese, e persino di quantificare in termini concreti
la gratitudine e la soddisfazione degli utenti. Chi scrive software a
pagamento instaura un rapporto con i propri utenti su basi ben definite. Un
do ut des che potrà non piacere ai puristi ma può motivare e vincolare il
programmatore, spingerlo per esempio a tener conto delle esigenze degli
utenti anche a prescindere dalle proprie ubbie personali. Quindi, ad
esempio, cercherà di rendere il programma attraente e facile da usare anche
per gli altri, aggiungerà funzioni se richieste da un certo numero di
persone, risolverà i bug in tempi rapidi e non "quando c'è tempo", eccetera
eccetera. Questo non vuol dire che tutte le software house siano sempre
attente alle richieste degli utilizzatori, eh eh, ma vuol dire che una
software house che se ne frega degli utenti rischia di non avere successo o
prima o poi di perderlo, e quindi deve tenerne conto. Nel caso dell'open
source, invece, resta del tutto a piacimento del programmatore se
accontentare gli utenti oppure no, e talvolta mi pare che prevale la
tendenza a considerare solo le proprie personali esigenze o magari quelle
dei "propri pari", cioè degli altri sviluppatori, quindi un punto di vista
solo tecnico. Questo, come detto, può anche portare a ottimi risultati in
certi casi, specie sotto il profilo tecnico, ma più difficilmente a prodotti
facili da utilizzare, piacevoli nell'utilizzo, e quindi utilizzabili e
utilizzati in pratica da molte persone.
4. Un altro punto importante collegato al precedente è la costanza del
rapporto. Chi scrive software solo per passione lo fa finché il tempo libero
lo permette, e finché ne ha voglia. Poi magari arriva un figlio, arriva un
lavoro a tempo pieno, arrivano altre cose della vita, e il progetto del
software finisce in naftalina o sospeso a tempo inderminato, senza
aggiornamenti, senza sviluppo ulteriore, a meno che non ci sia un altro
volontario pronto a subentrare (il che spesso succede, ma altre volte no, o
non sempre con la stessa abilità).
Vuol dire che chi inizia a usare un software open source non ha molte
certezze sul futuro, perché quel progetto potrebbe essere abbandonato o
sospeso in ogni momento, anche senza preavviso, oppure essere adottato da
altre persone con abilità e idee molto diverse...
Questo può essere seccante per chi inizia a usare quel software
organizzandoci sopra alcune attività, perdendoci tempo per le impostazioni e
per imparare a usarlo, insomma facendoci affidamento, e poi si trova "per
terra" perché l'autore un bel giorno si è stufato e si è dato a
qualcos'altro. Questo magari è più raro per grandi progetti che vedono molti
autori (un sistema operativo, un grosso programma) ma succede per molti
programmi "minori".
Anche nel software "chiuso" e a pagamento, ci sono casi di "abandonware",
con il rischio peraltro che nessuno possa subentrare se il codice resta
proprietario, ma sinceramente mi paiono più rari, probabilmente perché un
programmatore non molla facilmente quello che è fonte di reddito, anzi le
nuove versioni sono l'occasione di nuovi introiti, quindi si darà da fare
(talvolta sin troppo!) per aggiornare con rapidità e costanza.
In questo panorama, tra parentesi, credo sia una piacevola "novità" quella
di Ubuntu che dato certezza sulle cadenze dei nuovi rilasci, rispetto
all'inderminatezza di altre distribuzioni Linux. Il caso di
Ubuntu-Canonical, e anche il caso di Android, però mi paiono particolari
perché si tratta di prodotti portati avanti o sponsorizzati da aziende che
hanno saputo costruirci sopra un modello di business, anche se il software è
open. Queste però sono mosche bianche, sia pur importanti. Tanto è vero che
trovano severi critici proprio nel mondo open source!
5. Assistenza. Nel caso dei programmi a pagamento, spesso il supporto è un
"diritto" dell'utente, compreso nel prezzo pagato. Se il supporto fa schifo,
l'utente ha tutto il diritto di lagnarsi. Nel caso di un programma gratuito,
tutto è affidato alla buona volontà, che a volte c'è, a volte meno, ma in
ogni caso l'utente non può pretendere un bel nulla.
6. Sicurezza. Un punto spesso sottolineato dai sostenitori dell'open source
è quello della maggiore sicurezza, data dalla possibilità teorica di
controllare cosa c'è effettivamente dentro il codice. Certo, questa è una
buona cosa. Anche se personalmente non andrò mai a controllare del codice
complesso riga per riga, sapere che qualcun altro potrebbe farlo è
confortante. D'altra parte, anche quando si utilizza del sofware a
pagamento, ci si può sentire generalmente garantiti. Anzitutto chi fa
software pagato dagli utenti non ha reali spinte a inserire codice che possa
"fregare" o fare brutti scherzi, visto che metterebbe a rischio la fonte del
proprio reddito oltre che la propria reputazione. Semmai, ci possono essere
talvolta preoccupazioni per la privacy, raccolte di informazioni poco
trasparenti, buchi inconsapevoli della sicurezza (possibili del resto anche
nell'open source), e via dicendo, ma su questo c'è il "controllo" del
mercato che premia il software che non invade la privacy e tappa velocemente
i buchi della sicurezza rispetto al software meno attento e meno rispettoso.
Non dico che il controllo del mercato sia sempre efficiente, ma è una spinta
reale che ha spinto le software house commerciali a migliorarsi.
7. Un'ultima considerazione "filosofica". Se lo sviluppatore lavora gratis,
c'è da chiedersi perché lo fa. A volte scrive il programma per sé stesso e
poi lo "regala". Altre volte è la soddisfazione morale del lavoro ben fatto.
Ma credo che una componente importante sia anche quella di fare esperienza e
farsi conoscere, dico bene? In ultima analisi, il suo obiettivo sarà quello
di essere assunto da una software house e pagato, o per continuare lo
progetti "open" ma con uno sponsor, o per intraprendere altri progetti
indicati dal datore di lavoro. A quel punto, ci si potrebbe chiedere: ma i
soldi con cui verrà (prima o poi) stipendiato quello sviluppatore, da dove
vengono, se non dal "vile" mercato, cioè o da software commerciale o
comunque da iniziative commerciali collegate anche a progetti open? In
alternativa, c'è chi è retribuito da enti e università al cui interno porta
avanti progetti open source. In quel caso il software sarà pure "gratuito"
per l'utilizzatore, ma a pagare è qualcun altro (in genere il taxpayer, o
gli studenti di quell'università)
Just my 2 cents :)